Nel 1964 il Giappone era in fermento perché stava per inaugurare le sue prime Olimpiadi.
Il mondo della moda italiana invece tentava un timido approccio per le vie di Tokyo.
Gucci aprì proprio in quell'anno una boutique nel quartiere Ginza.
Alle soglie del nuovo millennio, l'economista, scrittore e futurologo Kimindo Kusaka disse che nel 21° secolo il Giappone sarebbe diventato il primo stato boutique, una sorta di paese dei balocchi pieno di pupazzi, giocattoli elettronici e quintali di vestiti, abitato da un popolo in folle corsa verso la modernità, stregato dalle nuove tecnologie, ma plasmato nell'intimo dalla propria cultura unica e millenaria. Una cultura che, secondo Kusaka, si è col tempo slegata dalle imposizioni della religione per guardare sempre di più ai valori del lavoro, pur mantenendo un profondo senso della spiritualità.
Inoltre l'aver dovuto rinunciare a un esercito avrebbe, sempre secondo l'autore, favorito la formazione di un carattere pacifista e orientato all'edonismo. Una vera mecca per chi ha prodotti da vendere. Ma che non può approdare qui senza fare i conti con la natura di un popolo che ha un senso estetico radicato e raffinatissimo.
La moda ha così attaccato il Giappone creando Capsule Collection adatte solo al mercato interno nipponico, diventando però le più ricercate nel mondo.
Ed ecco che un giorno Doraemon incontrò il pattern di Gucci e decise di metterlo nella sua tasca magica.
Risultato?
Una collezione nerd fra le più rischiose di tutti i tempi, dove un'icona per bambini cammina a testa alta su una passerella per celebrare i cento anni del marchio.
Uscirà quest'anno. L'anno delle Olimpiadi Tokyo 2020+1.
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Gtvb
Foto Cover: ©Fujiko-Pro
Immagini: ©Gucci