Aveva 13 anni Junko quando la bomba di Hiroshima scoppiò il 6 Agosto 1945 a meno di due chilometri da casa sua.
Era una studentessa che viveva ascoltando le sirene antiaeree.
Quella mattina però non stava bene, aveva mal di stomaco, quasi un presagio.
Suo padre le disse di stare a casa. Lui doveva andare a tagliare i capelli, ci teneva ad essere in ordine per la mamma, che era in convalescenza su un’ isola, perché lì l’aria era buona e faceva bene ai suoi polmoni.
Erano in quattro in casa quando sentirono il B-29 Superfortress Enola Gay volare sulle loro teste.
C’era suo fratello che aveva appena finito il turno alla Japan Steel, era seduto a torso nudo davanti alla porta finestra di casa, aveva in mano una chitarra.
C’era sua sorella maggiore che faceva colazione mentre l’altra era in camera con lei a chiacchierare.
Aveva mal di stomaco Junko, ma conosceva bene i nomi degli aerei da guerra.
Lo disse ai suoi fratelli. “Dev’essere un B-29”.
Che una bambina conosca questa cose fa venire i brividi.
È stata l’ultima parola che ha pronunciato. Poi il mondo cambiò.
Ci fu una luce accecante seguita da un calore intenso, poi uno strano riverbero e un rumore indescrivibile. Infine un botto.
Com’è il rumore di una bomba atomica? Quanto calore sprigiona?
Ci sono i documentari che spiegano queste cose, ma quando sono i testimoni a parlare, tutto diventa più reale. E allora il rumore diventa più assordante e il caldo ancora più insopportabile.
Si chiamava Little Boy la bomba che fece crollare la casa di Junko. Che nome del cazzo.
“Sto per morire” urlò. Poi perse conoscenza.
Quando aprì gli occhi vide uno spiraglio sopra di lei. Il cielo era grigio e la sua mente ricorda ancora le urla della gente.
La casa era crollata.
Una bomba le aveva colpite. Perché proprio a loro?
Strisciò insieme alla sua sorellina. Arrivò in salotto e si accorse che quella persona piena di sangue e senza un dente era sua sorella maggiore.
Suo fratello invece era coperto di vetri. La sua schiena era piena di schegge, ricordava un riccio.
Quando uscirono in giardino si accorsero che la città non c’era più.
Tutto era piatto. Allora non era stata una bomba a colpire la loro casa.
Perchè non c'era pù niente?
I vicini erano scomparsi, il ciliegio era scomparso, anche la fattoria di fronte casa non c'era più.
Hiroshima bruciava.
Little Boy era riuscito nel suo intento. Portare un po’ d’inferno sulla terra.
Papà arrivò in bicicletta. Si era salvato. Il suo volto era rosso, di un rosso brillante. Il suo corpo era un’ustione unica.
Fuggirono. Perché era l’unica cosa che potevano fare.
Seguirono quello che era rimasto dei binari.
Cercavano il fiume, come se l’acqua fosse l’unico elemento che avrebbe potuto salvarli.
La terra fumava sotto i piedi nudi di Junko, ma lei camminava. Camminava quando andava a scuola, camminava quando andava dalla vicina ad ammirare i Sakura.
Junko era piena di sangue, ma non era il suo. Era quello di sua sorella. I suoi capelli erano stopposi e l’aria puzzava.
Quando arrivarono al fiume videro orde di zombie camminare. Ma non erano “non morti”, ma persone completamente sciolte che urlavano dal dolore.
Alcuni si aiutavano a vicenda. È strano dirlo, ma in quel delirio c’era un silenzio spettrale. Nessuno capiva cosa fosse successo. Perché si erano risvegliati in quello stato?
Perché il corpo bruciava?
Alcune persone correvano nude con le braccia alzate, sembrava che tenessero in mano delle calze di nylon e invece era il loro corpo che si scioglieva.
Tutti bevevano l'acqua del fiume, anche se la corrente portava cadaveri di animali e persone.
“Non dovete bere o morirete” urlavano.
Ma nessuno ascoltava.
Junko vide un cavallo morto trasportato dal letto del fiume, poi una donna che teneva sulla schiena un cadavere di un neonato.
Nessuno si fermò ad aiutare la bambina che piangeva sul corpo ormai carbonizzato della madre, nemmeno Junko. Aveva la mente vuota.
Arrivarono in una risaia e improvvisamente il cielo si fece nero.
Un tuono spaventò tutti e la pioggia iniziò a cadere. La maglia di bianca di Junko diventò scura e le gocce sembravano macigni.
All’epoca nessuno di loro conosceva la parola radiazioni.
A Hiroshima morirono per l'esplosione tra le 60.000 e le 80.000 persone. Erano le 8:15.
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