C’è l’ultimo giorno di scuola, l’ultimo giorno dell’anno e l’ultimo giorno della settimana.
Ma quando sei in viaggio l’ultimo giorno cosa diventa?
Mentre ci pensate, raccogliete tutti i fazzoletti e un secchio, questo post potrebbe farvi piangere oppure stare male. Buona Lettura!
“Gabry sono le otto del mattino e io non ho ancora fatto la valigia”
“Piera sono tre giorni che fai la valigia”
“Non è vero!”
Falsa come i soldi del Monopoli.
Sono 72 ore che facciamo avanti e indietro da Donquijote a comprare trolley di pessima fattura, lucchetti per chiudere le cerniere, buste per impacchettare abiti in seta, spray anti tarme e caramelle alla banana.
I commessi del negozio ci hanno scambiato per due killer ossessivi compulsivi che vogliono sbarazzarsi di un cadavere sezionato in più parti.
La Piera ha spedito i suoi vestiti vecchi via nave.
Non si sa quando arriveranno. Dicono fra tre mesi. Ha scelto la rotta più lunga per risparmiare.
Nei suoi trolley modesti ci sono libri di illustrazione di tutti mangaka più famosi del Giappone dal 1967 al 2009, mutande e calzettine da qui all’apocalisse, abiti frù frù che puoi usare come paracadute, ceramiche che manco alla corte dell’ Imperatore e infine le scarpe da fotomodella con la pianta talmente stretta che quando le indossi rischi un embolo e l’esplosione della vena safena.
Io invece sto infilando oggetti negli indumenti, perché nella mia mente bacata una calza piena di portachiavi, bicchieri per il sakè e tazze a forma di Doraemon pesa meno di un fantasmino color carne arrotolato.
La nostra stanza si è trasformata da deposito a boudoir di una Lady Boy. Non capiamo più niente, c’è talmente casino che ci siamo scambiati pure il sesso. La Piera fa pipì in piedi e io indosso senza vergogna dei reggiseni di pizzo verde.
Vabbè usciamo. Tanto alla fine lo so che mi fermeranno all’aeroporto e mi arresteranno per riciclaggio di Pikachu sporchi.
Per salutare Tokyo come si deve, abbiamo deciso di andare in quel ristorante di sushi che ci accoglieva sempre a braccia aperte. Forse perché lasciavamo ogni volta migliaia di Yen manco fossimo i Kardashan.
E infatti appena ci hanno visti si sono sfregati subito le mani.
Non è un ristorante stellato, diciamo che il sashimi e i maki sono discreti. Siamo di bocca buona e poi a noi piace solo vedere il nastro che gira, come i bambini al parco quando s’incantano davanti alle paperelle che si strozzano con le patatine Dixie.
Siamo stati dentro un’ora e mezza. Totale: 40 piattini a testa. Ovvero 80 nigiri!
Quando abbiamo detto alla cassiera che era il nostro ultimo giorno in Giappone si è commossa e ci ha lasciato come regalo il suo biglietto da visita.
Che generosa. Manco un centesimo di sconto.
Quando mangi troppo riso, l’addome si gonfia, ti vengono delle specie di doglie pre-parto e inizi a pregare Enma, uno dei più importanti e temuti re degli inferi giapponesi, di farti morire fulminato sotto quei tralicci della corrente che infestano la città.
Poi abbiamo pensato ai nostri cari e a quanto gli costerebbe il rimpatrio della salma, così abbiamo optato come alternativa alla morte due litri di Coca Cola Zero.
Ora siamo la perfetta imitazione di Godzilla: ruttiamo e mentre camminiamo distruggiamo palazzi interi.
“Dici che moriremo?”
“Non lo so Piera. Forse in farmacia potrebbero aiutarci”
“Io no so dire eutanasia in giapponese”
Questo doveva essere il giorno dei giorni.
Quello dove fai il resoconto del viaggio, quello del “Ti ricordi quando siamo andati…” e invece siamo seduti su una panchina del parco Yoyogi a spaventare le cornacchie giganti con le nostre flatulenze orali.
Non siamo in grado neanche di arrivare ad Harajuku per un'ultima foto. Mi andrebbe bene anche una foto mossa, ma ti prego spirito che abita nel parco, dacci la forza di digerire.
Ci troveranno fra tre giorni con lo stomaco esploso e gli occhi fuori delle orbite.
Gli uccelli nidificheranno nei nostri ombelichi e si ciberanno dei nostri organi. Poi sicuramente i commessi di Donquijote ci butteranno nel fiume Sumida e si riprenderanno le valigie della Piera da rivendere a prezzo scontato nel reparto dell’usato.
I nostri corpi galleggeranno fino a Odaiba e infine affonderemo sotto la grande isola artificiale, che pare sia stata costruita sopra cumuli di monnezza.
Direi che come gran finale non è poi così male. Torneremo comunque a far parte della struttura urbana della città.
Io mi reincarnerò nella Tokyo Tower e la Piera in un negozio di mutandine al terzo piano del centro commerciale Shibuya 109.
Io sarò un Maneki Neko del tempio Gotoku-ji e la mia amica un seggiolino riscaldabile della metropolitana.
Io mi trasformerò nell’eterno movimento del salaryman alla stazione di Shinjuku e la Piera nel vento che soffia fra il Palazzo del Governo e l’Hilton Hotel.
Vorrei rinascere petalo di un Sakura qualsiasi per morire dopo sette giorno e rifiorire a Maggio a Sapporo.
Una ragazza mi sceglierà fra mille libri usati del quartiere Jimbocho, mentre la Piera sicuramente diventerà un pannolone per le piccole perdite in vendita a Sugamo, la zona di Tokyo chiamata l’Harajuku per i senior. :-P
Doveva essere l’ultimo giorno, quello pieno di gioia e lacrime, mentre invece siamo qui che desideriamo una lavanda gastrica immediata.
Voglio vivere nella nuca di una geisha, perché dicono che sia la parte più sexy, essere un pixel del Q-Front di Shibuya e girare in loop sulla Yamanote Line.
Uffa doveva essere il più bello fra gli ultimi giorni della mia vita e…
Finalmente una grande emissione brusca e rumorosa è uscita dalla nostra bocca liberandoci da quel peso al gusto di soia e zenzero.
Possiamo terminare questo giorno con l'ultima cosa da fare a Tokyo: cantare!
Questo è un consiglio.
Ci ha accompagnato la nostra amica Alice, ma siccome ormai siamo poveretti abbiamo optato per un karaoke bettola che assomiglia più a un carcere minorile.
È pieno di ragazzini minorenni e secondo me anche un po’ minorati, che gridano e urlano per i corridoi.
I karaoke giapponesi non erano stanze dove sfogare l'ansia cantando a squarciagola Bocelli e gli Wham?
E questi matti cosa fanno in mezzo al corridoio?
Ma è ovvio sono ubriachi e non trovano più la loro stanzetta, barcollano appoggiandosi a qualsiasi cosa e alla fine vomitano sugli oblò di vetro delle porte, che in teoria servirebbero ai camerieri per controllare se all’interno tutto funzioni a dovere.
“Alice sei sicura che i microfoni siano igienizzati?”
“Forse meglio cantare senza”
“Ho appena visto una ragazza strusciarselo in mezzo alle gambe”
Ma in che posto siamo finiti? Qui i microfoni si sentono Rocco Siffredi, la gente rotola invece di camminare e nessuno resta chiuso nella sua cabina a cantare.
Nel mio immaginario il Karaoke era un luogo pacifico dove far innamorare la tua ragazza, tenendola per mano e dedicandole “My heart will go on”. E invece qui c’è puzza di pubertà, vomito e nicotina.
Doveva essere il mio ultimo giorno perfetto.
Vabbè cerchiamo nella playlist delle canzoni.
“C’è Ligabue?”
“Ma no! Siamo in Giappone!”
“Laura Pausini?”
“È famosa in Sud America”
“Gigi D’Alessio?”
“Gabry deve scegliere dei cantanti stranieri”
“E io che ho detto?”
“Forse c’è Gigliola Cinquetti”
“Facciamo che canto All I Want For Christimas is you”
Cantare è veramente terapeutico. Ora capisco i giapponesi. Tutte le fatiche e le amarezze del giorno vengono spazzate via solo dopo due hit. Nel mio caso il tema di Totoro e la non facile “Torn” di Natalie Imbruglia.
La malinconia muore appena prendi in mano il microfono e sulle note di “Barbie Girl” l’aria si rinfresca.
I ragazzini molesti si trasformano in teneri orsetti del cuore e tutti diventano parte di un mondo pacifico.
I camerieri sorridono con i loro Mocio Vileda e le chiazze di rigurgito spariscono a suon di “I will always love you”.
Sono passate in fretta due ore.
Io e Alice per uno strano caso del destino abitiamo praticamente nella stessa via. Sono rimasto fermo a guardarla mentre scompariva in lontananza.
Non si è mai voltata.
Questo poteva essere un finale strappalacrime, ma il Giappone prepara sempre colpi di scena come un bravo regista.
A casa i nostri coinquilini dormivano già, ma ci avevano lasciato sul frigorifero un biglietto di “Arivederci” scritto con una R.
Che carini. Abbiamo condiviso con loro due mesi della nostra vita e sarà difficile rimetterli insieme visto che si detestano. :-P
Cosa posso scrivere di questa giornata?
Ma cos’è quell’icona che mi appare sul computer? Possibile che qualcuno stia condividendo con me il suo Desktop?
Qui scatta operazione spionaggio. Cosa conservano i giapponesi sul loro portatile?
Lo so, dovrei farmi i fatti miei, ma è l’ultimo giorno. E io mi sento un gattino curioso foderato di sushi e con le corde vocali a pezzi. Lasciatemi ficcanasare vi prego!
Il misterioso vicino di casa ha una miriade di cartelle di foto di tombini suddivise per Prefetture, città e quartieri. Che sia un topo di fogna alla ricerca di una nuova casa?
E poi c’è quella cartella con scritto X, che non ho il coraggio di aprire. È una specie di arsenale porno, suddiviso in generi e sotto generi.
Un film bondage con ragazze appese allo stendibiancheria non era il finale che mi aspettavo, ma piuttosto che rifare la valigia meglio vedere due lolite che prendono a rastrellate un anziano libidinoso.
“Cosa stai guardando?”
“Niente, un documentario sui sedimenti rocciosi della Locride”
“Interessante?”
“Lo sapevi che l'area della Locride copre una superficie di 1366,60 km² e comprende 131.985 abitanti in 42 comuni con una densità media di 103 ab./km²”
“Stai guardando un porno?
Infine una mail.
Alice mi ha scritto prima di andare a letto.
Dice che non si è voltata perché le veniva da piangere.
E così è finito il mio ultimo giorno.
GiapponeTVB