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NON MI ERO ACCORTO DI ASAKUSA

Mi muovo tardi, non perché sia pigro.
Svegliarsi presto a Tokyo è un’esperienza bellissima.
Ci sono in giro i signori che riempiono le Vending Machine (le macchinette per le bibite), salaryman che arrivano da lontano, ahimè homeless che tornano nel dimenticatoio, camioncini per le consegne e poi quello strano silenzio rotto solo dal gracchiare dei corvi.
Oggi non voglio rimanere pressato nella Metro. La sardina la faccio domani. 
Asakusa è al capolinea della Ginza line. Io la confondo con la Yurakucho Line. Sono tutte e due gialle sulla cartina, una però è tendente al senape, l’altra al color zafferano. Due linee dai sapori forti, che alla mia vista si confondono, tono su tono.
Ma sono preparato, la metropolitana di Tokyo non mi fotte più. Poi dovessi perdermi, ci sono sempre quegli omini simpatici ai tornelli che ti aiutano manco fossi loro parente.
Piano piano riconosci i turisti che si dirigono verso Asakusa. Vanno tutti al Senso-ji, il tempio buddista più famoso di Tokyo.
Chiudo gli occhi e ascolto la voce che ripete le fermate in inglese e giapponese. E’ quasi famigliare. Sembra una mia amica.

Asakusa si presenta come un quadro restaurato, con una cornice moderna.
Ci sono negozi di cibo preconfezionato travestiti da botteghe, ristoranti per gitanti della domenica, un ufficio turistico attrezzatissimo. Le voci si mischiano al colore predominante di questo quartiere: il rosso.
La fiamma di Philippe Starck sul palazzo dell’Asahi infastidisce il mio itinerario, persino la Sky Three. Voglio tradizione.

L’ingresso al tempio è facile da trovare, basta guardare dove si ferma la gente a farsi il primo selfie.
La gigante lanterna al centro del Kaminarimon, la porta del tuono, è pronta per essere immortalata. La guardo di lato, insieme a degli studenti.
Tra me e la Bodhisattva Kannon ci sono solo 250 metri.
Resisterò ai negozi di souvenir della Nakamise dori? Dicono siano 90.
Ok. Occhio sull'obiettivo. Non perdere la fede.


La spiritualità però vacilla subito davanti al negozio di abiti per cani, perdo la mia trascendenza di fronte a quello di borse e cappelli fatti con tessuti kimono pregiati.
Niente foto.
Ma come?
Ve lo dico, perché vi voglio bene. Sono sulla sinistra, li riconoscete subito perché hanno prodotti selezionatissimi esposti meticolosamente. Sono gli unici che si mostrano al pubblico in maniera elegante. La loro merce non è per tutti. I commessi, due giovani anziani, perché dei giapponesi non si capisce mai l’età, mi trattano male.
Non c’è niente per te.
Ma io volevo provare questa coppola con i pattern origami.
Non c’è la taglia. Ciao.


Non le voglio le calamite, nemmeno i portachiavi di Hello Kitty. I kimono da donna non mi servono, mia zia non li userebbe mai.
Cosa posso portarmi a casa di unico e raro? Cosa può farmi tornare indietro nel tempo?
Budda refresha i miei peccati, ma fammi trovare qualcosa di bello, prometto che farò il bravo.
Nell’area fumatori di fianco ai bagni noto un jinrikisha, il risciò giapponese. Il ragazzo che lo traina ha gambe da calciatore e indossa ai suoi piedi delle tabi nere. Le calzature con le dita.
Sembra uscito dall’epoca Tokugawa. Un occidentale qualunque lo confonderebbe con un fauno, i suoi piedi caprini però mi affascinano.
Mostra ai suoi clienti una delle innumerevoli statue di budda intorno al tempio, spiega perché indossano delle sciarpe.


Vorrei essere come lui, trasportare stranieri e raccontare storie. Inventarmi avventure e conoscere ogni leggenda di Asakusa.
Lo fermo.

“Scusa posso farti una domanda?”
“Sei Italiano?”
“Sì!”
“W Inter!”

Quando gli ho chiesto dove potevo trovare le sue scarpe, la gentilezza giapponese si è rivelata. Tutti i negozi hanno fatto a gara per cercarmi il numero perfetto che calzasse ai miei piedi. Come un Cenerentola qualsiasi ho vagato per quattro negozi in compagnia del simpatico shafu (l’uomo che traina il risciò). Nel nostro girare non ci siamo accorti che il sole era tramontato.
Alle sette di sera il mio desiderio si è avverato.
Lo shafu prima di salutarmi mi indica il Senso-ji. E’ illuminato.
Non mi ero accorto della sua bellezza, il branco è scomparso e i baracchini iniziano a chiudere.
Il tempio perdona la mia stupidità.
Mi siedo, il cellulare mi abbandona. Va bene così. Spero non finisca mai.

Gtvb