Cosa ti piace del Giappone?
È una domanda banale. C’è chi risponde il cibo, chi i manga, chi la cultura Zen.
A me piace l’eterno movimento della gente.
Passo ore ad ammirare le persone camminare e dalle loro scarpe vedo uscire storie romantiche e avventurose, cucite da bizzarri calzolai che custodiscono i segreti di Amateratsu, la divinità da cui discendono tutte le cose, compresi gli allegri pupazzi che animano questo paese.
Quindi a me del Giappone piacciono le storie e i giocattoli.
Spesso mi trovate alla stazione di Shinjuku a vagare in stato confusionale.
Stamattina c’era una scena grottesca, di quelle che ti mandano in tilt: una ragazza tanto per bene, vestita color pastello, vomitava come un’ossessa davanti all’ingresso Ovest. E intanto piangeva.
Era quasi affascinante il suo star male, sembrava una dea con un attacco di cervicale, il suo rimettere era gentile e per nulla ributtante. Riusciva persino a girare la testa di 180°
Non si è fermato nessuno.
Io le ho solo domandato: “Stai bene?”
Si è spaventata ed è fuggita, lasciando la sua cena in balia dei corvi.
Credo che a volte il cinema di Serie B orientale s’ispiri alla vita quotidiana.
Qui c’è tanto di quel materiale da poter riempire il palinsesto di Sky.
Però il tempo è tiranno e non posso rimanere qui a sgranare i piselli e commentare chiunque mi passi davanti.
Ho appuntamento con Mia san e il suo fidanzato alle 11 al Kaminarimon, la porta del tuono, che non è uno stargate per altri mondi, ma l’ingresso del tempio Sensō-ji di Asakusa.
Foto ricordo: click!
Ormai per me è un rito, mi diverto a guardare i due negozianti antipatici che vendono cappelli nella Nakamise Dori (la souvenir street che porta al tempio), ascolto le mille lingue che si confondono e cerco un po’ di pace nelle vie secondarie.
La visione della Sky Tree in lontananza rompe quell’estetica di antico che cercava di resistere, però è il suo bello. Il motto del Giappone è “Where the past meets the future”
Male interpretato da questo negozio che ha sostituito futuro con cane.
Il mio obiettivo di oggi è trovare le tabi shoes di pioggia.
Le tabi sono quelle scarpe nere con le due dita che si usano durante i Matsuri, le indossano anche i muratori e quelli che spingono i Risciò.
Maison Margiela le ha trasformate in oggetto di culto, ma restano comunque un prodotto a basso costo.
Le potete trovare nella Nakamise Dori a 30 Euro. Ma io voglio quelle da pioggia, perché il mio stile deve essere giapponese anche con il tempo variabile.
Andiamo a molestare lo Shafu che è il povero che deve trasportare i turisti sul Jinrikisha ( il famoso risciò)
“Ciao! Sono arrivato dall’Italia per cercare le tabi. Sai dirmi dove posso trovarle?
“Me le ha date la società per cui lavoro”
“Io però sono un po’ tignoso. Le cerco di gomma per la pioggia”
“Non esistono giovane ragazzo italiano”
“Come no? Le aveva un tuo collega l’ultima volta che sono venuto ad Asakusa”
“Forse lui non lavora più o era di un’altra società”
Che risposta è?
Speravo andasse in crisi. E invece mi ha lasciato in mezzo a tutti gli zombie che gridavano davanti alle bancarelle.
“Tu puoi trovare a negozio di muratori!”
“Mia san me lo dici adesso?”
“Io pensavo che tu scherzavi”
“Perché?
“Scarpe brutte. Come se voi italiani andare in giro con scarpe anti- futuristiche”
“Cosa?”
“Anti – furistiche”
“Antinfortunistiche!!”
“Ecco quello!”
Se siete pazzi della cucina giapponese e vi piace avventurarvi fra fornelli e pentole bizzarre allora vi consiglio di correre a Kappa Bashi, che è a sole due fermate da Asakusa.
Qui si narrano storie di cuochi stellati alla ricerca del piatto perfetto, di teiere parlanti e di coltelli affilati pronti a sfilettare qualsiasi cosa capiti sul tagliere.
Poi ci sono i negozietti con il cibo finto, che sono vere botteghe artigiane con artisti pazzeschi.
Uno di loro mi ha raccontato la sua vita, fatta di sacrifici e di mani incollate. I suoi polpastrelli sono rovinati, non credo abbia più le impronte digitali, ma è così fiero quando mi mostra il suo “sampuru” di sushi in pvc.
Sono care queste opere. Quindi il mio sogno di possedere una pizza finta finisce davanti al listino prezzi. Una ciotola di curry rice costa 7000 Yen. Fate voi i conti.
Niente Tabi e niente 4 Stagioni in polivinilcloruro. Mi devo accontentare di aneddoti e sorrisi.
Con tutto sto cibo di plastica mi è venuta fame.
Io e miei due ospiti ci facciamo richiamare da un ristorantino con un’insegna tutta blu.
“Forse cucineranno i Puffi”
“Punfi?”
“Non li conosci Mia san?”
“No!”
“Sono quegli strani ometti blu, alti due mele o poco più e che vivono nell’incantata città riparata dalla selva, dai monti e dal mar”
“Tu sei pazzo!”
In giapponese puffi si dice “Sumafu”, dall’inglese Smurf.
Vi consiglio di non intavolare un discorso del genere con un nipponico.
Il menù è scritto tutto in kanji, hiragana e katakana. Meno male che la mia amica sa sempre come stimolarmi l’appetito.
“Se vuoi c’è porco assaggiato e arrostato, polli infilzati, spaghetti che saltano e pasta di Sapporo”
“Guarda per me del riso bollito!”
Ci salutiamo con i soliti inchini. Mia san è molto premurosa con me. Mi ha lasciato la sua casa e tutti i giorni, quando torno dai miei giri, mi fa trovare sempre dei biscotti sul tavolo e dei bigliettini scritti qua e là.
“Ti ricordi come tornare a casa?”
“Certo. Prendo l’uscita Ovest, vado sempre dritto, poi giro a destra, prima a sinistra, vado in fondo e poi giro ancora destra. Poi…fai la gira volta, falla un’altra volta, guarda in su guarda in giù e dai un bacio a chi vuoi tu”
“Tu sei pazzo!”
Ho bisogno di Shibuya.
Sicuramente troverò un souvenir da portare alla mia amica Piera, che starà schiattando d’invidia in Italia. (QUI le sue avventure)
Sicuramente succederà qualcosa che mi farà prendere appunti da qui all’eternità.
Se vi piace il Giappone cercate di spostare lo sguardo altrove, solo così potrete scoprire mondi sommersi e “farvi” le storie come me.
Moana Pozzi non è morta. È diventata un marchio famoso.
Non è un caso.
Guardate anche questa “chapel”.
Dio qui è la fiera della malizia.
A volte mi chiedo se lo facciano apposta.
Un ragazzo vomita silenziosamente dentro un’aiuola, ma questa volta non mi fermo a controllare.
Girando come una trottola fra doppi sensi e strade finisco davanti al Mandarake di Shibuya, uno dei negozi di manga e giocattoli più famosi in Giappone.
Sono stanco e disinteressato.
L’unica cosa che mi commuove è questo piccolo Topo Gigio, che mi ricorda la mia infanzia. Poi il prezzo mi fa tornare alla realtà: 47.250 Yen! (Più di 300 Euro!)
Cosa mi dici mai!
Volevo rubarlo, ma solo perché mi faceva tenerezza in mezzo a quei Godzilla volgari e squamati.
Ricapitolando niente Tabi, niente cibo di plastica, niente topi anni settanta.
Solo storie e inchini.
Le lancette girano veloci. È tempo di ritornare a casa.
Mia san mi ha detto che al supermercato fanno sempre gli sconti verso l’orario di chiusura.
Meglio affrettarsi, non vorrei trovare solo soia fermentata e polpette di alghe.
La Metro è invasa. C’è una ressa che neanche ai concerti di Vasco. Non capisco, non so a chi chiedere. Io volevo le tabi da pioggia, i piatti finti e il pupazzino di Topo Gigio e invece mi tocca aspettare in fila e guardare tutti che fanno il gesto del “vomito”.
Che storia è questa?
Oggi dev’essere la giornata delle nausee irrefrenabili.
Un ragazzo impossessato da un demone sta letteralmente fermando la linea della metropolitana ovest di Tokyo.
Sta vomitando su tutte le macchinette per comprare i biglietti.
Ditemi che è un film vi prego. Voglio fare la comparsa.
E così in men che non si dica ecco uscire da porte invisibili gli addetti ai lavori con mazzetti di piccoli biglietti per la metro pronti per essere venduti alla vecchia maniera.
Con una fila, stimata di 40 km, abbiamo atteso il nostro turno per ritirare a mano il ticket, ve l’avevo detto che il motto è “Where the past meets the future”
A Shinjuku non ho beccato l’uscita giusta.
Ho chiesto a una ragazza, dalla pelle bianca come una porcellana, se sapeva indicarmi il parco vicino a casa di Mia san.
E’ uscita pazza, manco l’avessi costretta a farsi una ceretta al linguine in mezzo a uno stadio pieno di maschi allupati.
Ma non è fuggita. Tutta agitata rovistava nella borsa dicendomi: “Aspetta un attimo”
Poi mi ha sorriso, si è inchinata ed è corsa a gambe levate.
Così ho girato per il quartiere seguendo la stella cometa, se non arriverò al supermercato in tempo sicuramente finirò in una capanna a Betlemme.
Il vento soffia fra i grattacieli di Nishi-Shinjuku, sembra sussurrarti la strada giusta. Ti spinge e ti accarezza intenerito. Si dispiace perché non è riuscito ad avverare i tuoi sogni, che sono le tabi da pioggia, il cibo finto e un ratto di gomma, e allora gioca l’ultima carta e ti costringe a voltarti. Come? Facendoti sentire un profumo delicato di fiori e cotone.
Dietro di me c’era la timida ragazza con la pelle nivea. Mi aveva seguito con il cellulare e cercava di attirare, senza successo, la mia attenzione.
“Devi andare qui!!”
E mi indicava con le mani ben curate il parco vicino casa.
Poi un conato proveniente dai soliti cespugli ha rotto il nostro incanto.
Sapete qual è la storia?
In Giappone il passato incontra il futuro, peccato che il presente ci vomiti sopra.
Gtvb
QUI se volete vedere le famose Tabi da pioggia! :-P